Il CdA, il Consiglio di Amministrazione, è l’organo di governo delle società, strumento apparentemente innocuo, normato, quindi di facile gestione.
E invece no! Perché, prima di essere uno strumento previsto dal Codice Civile, il CdA è un gruppo di persone legate a monte da rapporti di natura varia:
- Famigliare: marito e moglie (anche ex!), genitori e figli, fratelli e sorelle, zii e nipoti o un po’ di tutto ciò.
- Amicale: amici di vecchia data o di recente e casuale conoscenza.
- Professionale: ex colleghi, titolari ed ex dipendenti, professionisti che si riconoscono un’utilità reciproca.
Ce ne saranno anche altri, ma non mi vengono in mente.
E’ risaputo che nelle Pmi italiane, il primo tipo è quello prevalente. La conduzione famigliare è ancora un marchio di fabbrica molto nostro. E quando i rapporti famigliari si intrecciano con gli affari, non è proprio una passeggiata.
Non è questo comunque l’aspetto che vorrei evidenziare, quanto il rischio che molti CdA corrono, a prescindere dalla loro natura: la difficoltà di condividere una linea comune, una visione univoca, senza far prevalere i personalismi o i problemi relazionali.
Punti di vista differenti, esigenze di vita diverse, valori non sempre allineati, ritmi di lavoro sfasati: insomma, tutta la diversità che caratterizza il genere umano e che quando si ritrova ristretta in piccoli gruppi, spesso divide.
Avere un CdA poco allineato o, peggio, poco capace di trovare punti di contatto, di mediare e, perché no, accettare compromessi, impatta negativamente sul governo dell’azienda.
Inefficienza (riunioni lunghe e spesso inconcludenti), indecisione (tira e molla sulle varie posizioni), quindi staticità (quando non si trova una sintesi, non si decide e si rimanda), incoerenza e confusione verso gli interlocutori esterni (ciascuno porta avanti la propria versione degli eventi): questi sono i rischi che si possono presentare.
Il Consiglio di Amministrazione è un Gruppo e il Gruppo ha delle dinamiche che è meglio conoscere per poterle gestire.